Un mestiere millenario di grande maestria, arte e fatica nella Calabria che resiste.(FOTO)

Un mestiere antichissimo di grande arte e maestria.

Se si parla con uno dei pochi carbonai che ancora lavorano a Serra San Bruno(Vv) dirà: «Siamo come i panda, in via d’estinzione».

Questo mestiere, che consiste nel trasformare la legna in carbone e che richiede una maestria e una fatica fuori dal comune, i carbonai lo hanno imparato dai padri e dai nonni.

In passato Serra San Bruno era più nota per i suoi carbonai che per la splendida Certosa.

Erano in tanti del paese che facevano i carbonai, e i boschi delle Serre non potevano bastare per tutti.

E così si spostavano nei territori collinari o montani ricchi di lecci e di faggi, dove vivevano finché c’era la materia prima, la legna, e poi si stabilivano altrove.

La carbonaia, perfettamente circolare ed enorme, infilando paglia e frasche nella buca in cima e infine appiccandovi il fuoco.

A quel punto due o tre carbonai coprono la montagnola con terriccio, frasche e ancora terriccio, per poi compattare il tutto con violenti colpi di pala e infine bucarla qua e là con un bastone appuntito come una spada. ↓

La carbonaia prende ora le sembianze di un piccolo vulcano che eruttava scintille e fumo azzurro dal cratere, che se lo respiri non ti fa male, e quando fra una ventina di giorni diventa bianco vuol dire che il carbone è cotto al punto giusto e si può vendere.

Nel frattempo bisognerà civarla meglio di un figlio, la carbonaia, con altra legna e paglia e, se a causa del vento c’è un principio d’incendio, con l’acqua del ruscello.

I carvunàri di Serra San Bruno hanno resistito fino a quando il gas e il carbone dell’Est hanno invaso il mercato. Poi sono emigrati anche loro all’estero o al Nord Italia.

Quei pochi che resistono sanno che il loro carbone è di qualità superiore, prodotto da alberi sani e profumati, mai bagnati da piogge acide, tant’è che viene richiesto non solo nei migliori ristoranti italiani ma pure in quelli russi per la carne alla brace.

Prima che scompaiano del tutto, gli ultimi “panda carbonai” di Serra San Bruno meriterebbero di essere protetti, e valorizzati per quello che fanno e che sono: il simbolo della Calabria che lavora con passione.(Repubblica.it)

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